Il Mondo Sussurrato (The Whispered World) – III parte

Suono/Musica/Doppiaggio.

La critica straniera, in particolare quella anglofona, ha mosso serie riserve sulla resa delle voci (il doppiaggio originale è in lingua tedesca) e sulla localizzazione dei personaggi: la voce di Sadwick viene descritta come “lamentosa” (Gamenexus), “noiosa” (Hexus Gaming), “dilettantesca” (JustAdventure).
Diavolo, è un ragazzino pagliaccio affetto da depressione, ci può anche stare che abbia una voce sgradevole, no?
In effetti, al giocatore italiano medio (chi è? boh…) non dovrebbe fare né caldo né freddo, ed ho trovato il doppiaggio in inglese più che adeguato: il lavoro è stato svolto presso studi britannici da professionisti (e non come capita a volte da noi in Italia da … meglio lasciare perdere).
In generale la traduzione è “in un buon italiano”, il che ai giorni nostri è tutt’altro da sottovalutare e da dare per scontato; dai credits sembra di capire che la traduzione sia stata curata direttamente dalla Germania e “controllata” da qualcuno che gira dalle parti di AdventuresPlanet (una tirata d’orecchie!); quello che forse lascia un po’ a desiderare è la “localizzazione” vera e propria, questione che è tutt’un altro paio di maniche rispetto alla traduzione: si tratta di adattare il testo alla realtà culturale, sociale, etc etc. della lingua di arrivo.

Ci sono due esempi che mi piace citare.
In un caso c’è uno scambio di Sadwick con un personaggio, Baldo, che per vari motivi finisce sempre per alzare il tono della voce, che in inglese suona come:
S: “Ehi, you have a mouse!”
B: “Yes, I have a mouth…”
B: “…AND I MUST SCREAM!”
che rappresenta veramente una bella parodia/citazione di “I have no mouth and I must scream”.
Beh, viene resa in italiano come:
S: “Ehi, la tua parete è rotta!”
B: “Certo che ho una bocca…”
B: “…E DEVO URLARE!”
che forse fa perdere sia il gioco di parole originale, sia il riferimento. Forse si poteva pensare a qualcosa di meglio.

Ehi, you have a mouse...

Yes, I have a mouth...

...AND I MUST SCREAM!

Il secondo caso è la già citata, e mancata, traduzione di “C’è un buco nel secchio, Arturo , Arturo…” che viene inesplicabilmente lasciato in inglese, per quanto venga puntualmente canticchiata nel sonoro dal protagonista.

Questi due esempi, insieme con il fatto che la versione italiana sia stata pubblicata con degli evidenti problemi grafici e di giocabilità che coinvolgevano anche la traduzione, (fra tutti un bug tale che selezionando da una scelta di frasi di dialogo “fischi” si finiva per parlare di “fiaschi”), problemi completamente risolti da una patch rilasciata “un po’ di tempo” dopo la pubblicazione dell’avventura, cosa che non ha fatto per niente piacere ai primi acquirenti, attratti dal notevole hype che circondava TWW) fanno supporre che non ci sia stato un collaudo dei testi “in game”, o che se c’è stato, non sia stato molto approfondito.

Menzione particolare per le musiche della colonna sonora, a cura della Periscope Studio Hamburg, che niente hanno a che fare con ciò che ci si potrebbe aspettare da un’avventura grafica cartoonesca e comica: sono profonde, incisive ed accompagnano in maniera mai noiosa o stancante le vicissitudini del clown triste. Il fatto che abbiano le mani in pasta nel prossimo “Gray Matter” di Jane Jensen, lascia ben presagire per questo titolo.

Enigmi.

E qui, nel bene e nel male, entriamo nelle questioni cruciali.
Nel senso che gli enigmi (i quali, se si dovesse comporre la ricetta di un’AG tipo, insieme alla storia e alla grafica, rappresenterebbero i tre elementi che caratterizzano più degli altri un videogioco di questo genere), sono un aspetto veramente controverso di TWW.
Innanzitutto il problema del pixel hunting che, inutile nascondersi dietro un dito, c’è; questo viene parzialmente risolto dalla barra spaziatrice che fa apparire a schermo le aree interagibili, perché il giocatore “duro e puro” subisce con frustrazione il dover ricorrere a qualsiasi tipo d’aiuto; d’altra parte, se non ricorre alla barra spaziatrice, può incorrere nel pixel hunting, quindi qual è il male minore?
Viene però da dire che di pixel hunting hanno sofferto anche alcune tra le migliori ag quindi…

Ritornando a bomba sull’argomento, gli enigmi sono estremamente vari con qualche variazione sul tema (sì, ci sarà anche qui un enigma stile “gioco del 15”, spiacente; ed anche l’ormai trito e ritrito enigma stile “chiave nella toppa e giornale sotto la porta”; e dovrete anche risolvere problemi di scacchiera, temo), ma in generale, sono estremamente vari e di soluzione poco immediata; difficilmente ve la caverete combinando in inventario l’oggetto A con l’oggetto B, saranno spesso necessari più passi; certo, dovrete mettervi a raccogliere tutti gli oggetti che vi capitano a tiro, anche quando non sapete perché dovreste prenderli, ma, ehi! questa è o non è un’avventura grafica? e allora. Se non sapete perché dovreste prendere da terra un pezzo di corda, se proprio volete essere realisti, non lo prendete e ritornate indietro quando avrete capito cosa farci; o se lo prendete, non andate poi a lamentarvene in giro in tutte le recensioni come se il vostro (biasimevole) comportamento fosse un difetto del gioco.
Va detto assolutamente che alcuni enigmi però sono assolutamente fuori di senno, ma qui entriamo in tutt’altro tipo di questione, se cioè le ag di tipo demenziale, quelle in cui si finisce per provare ad usare tutto con tutto siano da rigettare o da apprezzare. Una volta (e quando dico una volta, intendo almeno quindici anni fa), se gli enigmi non erano abbastanza complicati, un recensore poteva arrivare a stroncare un’ag; Broken Sword: The Shadow of the Templars venne criticata duramente sia per gli enigmi praticamente inesistenti (per i parametri dell’epoca) sia per la difficoltà dell’unico, in pratica, enigma che metteva alla prova il giocatore, quello della capra.
Fra gli enigmi peggio congeniati, può essere citato, senza troppo spoilerare, un macchinario presente in una locazione che scopriremo in un secondo momento, in cui viene richiesto di utilizzare informazioni che avevamo già dall’inizio dell’avventura, ma che sono completamente slegate da ogni relazione con l’ambiente descritto. Insomma, più o meno come se per sbloccare la cassaforte di Bill Gates vi fosse richiesto di inserire un codice corrispondente al numero di cellulare di un vostro cugino.
Incontreremo delle rivisitazioni/citazioni di vecchi classici, come quando entrando da una porta, sbucheremo inaspettatamente da un ‘altra, e così via (il villaggio di Monkey island 1), e grazie al trasformismo di Spot, dovremo sbrigarcela come eravamo soliti fare con i Gobliiins. Non mancheranno enigmi di dialogo, macchinari da far funzionare (no, niente roba alla Myst!) ed uno spelling a base di rutti che sono sicuro, farà sbellicare dalle risate anche i più riottosi.

Storia.

Ma di solito nelle altre recensioni non si parla della trama all’inizio? Certo, ma questa non è una recensione in senso proprio; e non è neanche come le altre; e forse non è neppure una recensione.
L’elemento per cui più vi affezionerete a TWW (o per cui la detesterete) sarà sicuramente la trama, che vi porterà forse a rigiocarla per scoprire come erano stati resi determinati dialoghi o caratterizzazioni alla luce del finale.
In TWW c’è una commistione tale tra temi demenziali, psicologici, epici e drammatici, come non si vedeva forse da Zork Nemesis (e qui l’analogia tra le due avventure, altrimenti distanti anni luce, finisce).
Un breve riassunto della trama: Sadwick, clown girovago, membro dell’esigua compagnia circense formata dal fratello Ben e dal nonno, due carri e Bruno, un pachidermico lucertolone addetto al traino della carovana, soffre di depressione e di un ormai ricorrente incubo nel quale si vede raffigurato mentre incontra un’enorme faccia bianca parlante ed assiste alla fine del mondo. Scoprirà ben presto che questi sogni non sono completamente frutto della sua mente, e verrà chiamato a salvare il suo mondo minacciato dalla distruzione incombente. Per adempiere alla sua missione, vagherà per le terre di Silentia e arriverà sino alla reggia di Corona, circondata da orde della razza degli Asgil, incontrando bizzarri e coinvolgenti personaggi, ben caratterizzati, che conquisteranno senza dubbio un posto nel vostro tenero cuoricino. (Sì, vi sto prendendo in giro; era semplicemente per vedere se mi stavate seguendo o no, vi avevo visto calare un po’ la palpebra…)
TWW è sicuramente una delle avventure degli ultimi 5-6 anni, dai tempi di Syberia, che presenta, pur nella continuità, delle fresche innovazioni nell’intreccio, iniettando sane dosi di poesia, nell’accuratezza degli scenari ma non solo, e provocatorie metafore nell’impianto narrativo. Il pagliaccio stesso, depresso e dal viso emaciato, produce da solo una serie di contrasti e dissonanze che vengono spalmate lungo tutto il percorso del racconto, che se da una parte non può dirsi certamente serioso, ciononostante non riesce mai ad essere completamente e solo demenziale.

Ultimo apprezzamento, per chiudere: l’edizione italiana viene proposta con un packaging molto elegante, con apertura a libretto, e manuale completamente tradotto in italiano, ad un prezzo, tutto sommato, onesto: € 20,00 (vabbé, € 19,90). Installate assolutamente la patch, altrimenti avrete un pessimo approccio di gioco.

Voto.

Ma per favore, ancora con il voto?
Mica state leggendo The Games Machine

Il Mondo Sussurrato (The Whispered World) – II parte

[continua…]

Grafica

Non so dove avevo letto (da un po’ tutte le recensioni, in realtà) che questa era un’avventura “in 2D”, termine che dovrebbe essere ormai bandito da ogni recensione moderna, visto che personaggi, fondali e piani di prospettiva ormai vengono completamente elaborati attraverso strumenti software che niente hanno a che vedere con gli strumenti a disposizione negli anni ’90 (e già allora iniziava ad affacciarsi nel campo delle ag il 3D – una fra tutte, Grim Fandango).
Bene, ho capito dopo una semplice indagine, da dove traggano questa fondata convinzione: non credo da una propria abilità di discernimento, quanto dal video del “making of” , e, se si deve prestar fede a quanto asseriscono gli autori stessi, questa E’ un’avventura grafica in 2D, per questioni di budget.
Sono rimasto sbalordito nel saperlo, questi ragazzi sono riusciti a rendere cose che si fanno in due secondi in 3D, con una terza coordinata prospettica, come la resa dell’effetto ombra del personaggio e la riduzione delle dimensioni dello sprite verso l’orizzonte dello scenario, per non parlare dell’illuminazione estremamente naturale degli stessi scenari fissi e fatti a mano, che non fanno sentire la mancanza di altre angolazioni e “telecamere” aggiuntive.

Esempio 3D

Potrebbe veramente sembrare uno scenario realizzato in 3D, invece...

Ma tanto voi lo sapete, la grafica in un’avventura grafica, non conta niente.
Come si usa dire delle dimensioni in altri contesti…

I fondali sono a 1024×768 pixel e lasciano trasparire una profondità artistica ed una accuratezza non usuale per il genere. Voglio dire, c’è qualcosa di più che non la semplice professionalità, c’è quasi amore in quello che viene proposto. Lo si sente, traspare da tutti i pori della schermata.

Quello che può essere colto invece come pelo nell’uovo sono le animazioni, in primo luogo quelle delle scene animate, decisamente “sfocate” e poco definite rispetto alla definizione dei fondali. Ma, dal momento che mi si dice che anche queste siano realizzate interamente a mano (come si facevano i cartoni animati una volta, insomma), mi sento quasi in imbarazzo a dargli addosso.

Interfaccia

Oh, beh, facile a dirsi.
Full Throttle.
O Monkey Island 3.
O (a volte ritornano) “A Vampyre Story” od anche il recente “Ghost Pirates of Vooju Island”, insomma dovunque abbia messo le mani Bill Tiller, che ha una sua software house “Autumn Moon Entertainment“.
Coincidenza? Non credo.
Quale può essere l’anello di congiunzione tra Bill Tiller e Marco Hüllen, il creatore di TWW?
Semplice, la Bad Brain Entertainment, la società che per un breve periodo finanziò (scorrere il link fino all’aprile 2005)  la Autumn Moon nello sviluppo di “A Vampyre Story” e per la quale Marco Hüllen lavorò per qualche tempo continuando lo sviluppo di quel progetto di tesi che era proprio TWW.
Non ho mai particolarmente apprezzato questo tipo di interfaccia, riduzione ai minimi termini (occhio=guarda, bocca=parla/mangia, mano=usa/prendi), se vogliamo, del menu a 9/12/15 verbi dello SCUMM di Lucasiana memoria, a sua volta già riduzione ai minini termini del parser testuale della Sierra/Legend/Infocom. A quel punto, tanto vale il cursore a scorrimento delle avventure Sierra come Gabriel Knight, o il cursore intelligente di Broken Sword.

Per fortuna, quello che viene tolto all’interattività a causa della limitatezza delle azioni che si possono compiere, viene parzialmente restituito dalla presenza del compagno di viaggio di Sadwick, il bruco (sic) Spot. A parte la scelta di una mascotte come un bruco grande quanto un porcellino, il che è quantomeno “singolare”, va apprezzato il fatto che Spot può assumere, nel corso della storia, fino a 5 “stati” diversi nei quali può interagire diversamente con gli oggetti. Spot può essere “trasformato” da uno stato all’altro puntando il cursore nell’angolo in alto a destra dello schermo. Peccato che la prima volta che Spot guadagna uno stato, questo evento non venga evidenziato, e capiti che il giocatore scopra “per caso” questa nuova funzionalità.

E’ presente una funzione di evidenziazione degli hotspot, certamente utile vista la presenza di alcuni casi di “pixel hunting”, e di questo si (s)parlerà a sufficienza quando si affronterà il tema degli enigmi.

Cliccando la barra spaziatrice verranno segnalati tutti gli hotspot della schermata

L’inventario è estremamente tradizionale: si apre con il tasto destro, ed appare come una enorme sacca dove ogni cosa trova magicamente posto. L’interazione tra oggetti dell’inventario si svolge in maniera usuale, clic sul primo oggetto, cursore che cambia aspetto, clic sul secondo oggetto.

Il vostro inventario di sempre

La mappa con cui ci si può spostare da una locazione all’altra è essenziale e spartana e peraltro verrà usata solo nella prima parte dell’avventura.

[continua con …
Suono/Musica/Doppiaggio.
Enigmi.Storia. ]

Alice, iPad ed Avventure (e i Numeri Primi?)

E’ impossibile, troppo interessante per non citarlo, non attirare l’attenzione sull’articolo di Marcus du Sautoy [vi invito caldamente a navigare il suo sito in flash, credo che sia una ulteriore conferma del fatto che genio e pazzia siano due punti che si allontano su una circonferenza finendo per coincidere] pubblicato sull’inserto culturale del Sole 24 Ore di ieri. [Consiglio a tutti di acquistare la domenica il Sole24ore, magari buttando via la parte “economica” come faccio io; è un supplemento culturale veramente vario e ricco di contributi multiculturali, come questo che voglio segnalare.]

Conosco Marcus du Satoy più per il suo lavoro sulla funzione zeta, i numeri primi e l’ipotesi di Riemann, che per altro, avendo letto il libro edito da Rizzoli “L’Enigma dei Numeri Primi“, un simpatico esempio di divulgazione scientifica sulla più importante questione aperta in matematica dopo che il teorema di Fermat è stato (pare) dimostrato.

Du Sautoy, in buona sostanza, dice, osservando come sia stata realizzata la versione dell’ebook di Alice nel Paese delle Meraviglie per iPad, che le nuove tecnologie offorno altre dimensioni per la narrazione: perchè limitarsi a leggere dove Alice va, e non condurla noi stessi avanti per il mondo meraviglioso che ella visita? Osserva l’autore, forse rammaricandosi che i punti realmente interattivi siano solo una ventina: “La storia non è mai uguale alla prima volta perché sono gli utilizzatori a guidare Alice nel Mondo delle meraviglie. Il Bruco fumerà il narghilè in altro modo se inclinate l’iPad, e potete anche lanciare una seconda manciata di pepe. Sorprendentemente, finisce per citare anche Heavy Rain, quale esempio di ramificazione della trama; insomma, a du Sautoy, sfugge la parola e non sovviene il termine “avventura grafica”.

Può essere veramente il futuro del libro? sarebbe una sorta di reinvenzione della medesima cosa, ma partendo esattamente dall’altra parte del tunnel: vent’anni fa si è inventato un genere interattivo che avesse come elemento caratterizzante la narrazione, oggi invece si vuole arricchire la classica narrazione con elementi interattivi che aumentino i gradi di libertà delle potenzialità dello scrivere. E, come i due punti sulla circonferenza citati poc’anzi, il mio sospetto è che arriveranno a collidere.

Il Nintendo DS è già il “passato”? Diventeremo tutti nell’arco di poco tempo iPadari? E qualsiasi romanzo diventerà avventura grafica “di per sé”? Se così fosse, non vedo l’ora di giocare a “Cent’Anni di Solitudine“.

Il Mondo Sussurrato (The Whispered World) – I parte

Ma che bella sorpresa è questa avventura della Daedalic Entertainment a cui la critica dedica un giudizio, pur se generalmente positivo, non proprio unanime, stando ad osservatori come GameRankings , visto che alcuni arrivano a giudicarla un prodotto appena sufficiente, in particolare la stampa del Regno Unito, parrebbe di capire.

Innanzitutto il gioco di parole (voluto?) con cui si presenta il titolo: Il Mondo/La Parola Bisbigliato/a (The Whispered Wor(l)d), [a cui io personalmente preferisco Il Mondo Sussurrato] e la stessa grafica dei caratteri ambigua, causa equivoci nelle recensioni stesse, e nei riferimenti nei forum, prova ne sia una semplicissima googlatura.

In mezzo ai tanti difettucci, che essendo “difettucci”, insieme non riescono a fare un difetto che giustifichi una stroncatura tale da far sconsigliare il gioco, compaiono anche alcune sviste nella traduzione, cose di poco conto; il compito della traduzione/localizzazione (e qui casca l’asino) è stato affidato alla Translocalcell, a quanto risulta dai riconoscimenti (spero che non abbiano avuto responsabilità nella localizzazione del sito web della Daedalic e nell’aver lasciato in bella vista un ricorrente “Il Gieco”, ed altri gustosi typo). Ora, (uèila, ma chi si vede nei riconoscimenti, almeno sul manuale, per il “proof reading” (correzione di bozze, per i non anglofili, alcuni di quelli di AdventuresPlanet), come si fa a lasciare in inglese : “There’s a hole in the bucket, dear Henry, dear Henry…”?

Peccatucci veniali, veramente, cercati con il lanternino solo per citare qualche aspetto negativo (e ce ne sono, per carità), ma che niente riescono a togliere al sostanziale giudizio positivo che emerge dopo aver giocato completamente a TWW (ho come il sospetto che qualcuno dei giudizi negativi sia stato emesso senza finire il gioco, ma sono illazioni…)

La trama e l’intreccio saltano all’occhio come quelli che sono gli elementi forti di quest’avventura e che sorreggono un impianto di gioco altrimenti simile a tanti altri prodotti del genere. Il protagonista, innanzitutto. Un giullare triste (o più un pagliaccio, visto che, girovago insieme al fratello ed al nonno, si esibisce nel piccolo circo familiare) sembrerebbe lo stereotipo più abusato nel romanzo e nel melodramma, ma questo è anche affetto da depressione (il male del secolo!) e presenta un colorito grigiastro malaticcio che lo deforma ancora più, stridendo con il suo costume da saltimbanco.

Prima di entrare nel vivo della recensione, ma parlerei più di esaltazione soggettiva di un titolo che di resoconto obiettivo, un’osservazione di quante citazioni, alcune nascoste, altre plateali, vi siano disseminate lungo il percorso dell’avventura: una particolarmente incisiva è quel grido/gioco di parole: “I have no mouse, and I must scream!!!” nel quale mi è capitato di imbattermi, ma ci sono indiscutibili riferimenti a Loom e, potrà sembrare astruso dirlo per un’avventura cartoonesca, fantasy medievale e demenziale come questa, citazioni di Sanitarium (quando arriverete a quel punto, mi darete ragione). Tutto questo credo che sia segno che chi ha firmato la sceneggiatura (Marco Hüllen) sia prima un appassionato di avventure grafiche che un professionista nel senso stretto del termine.

[Continua…]

D’Amore, d’Avventure Grafiche e di Altre Sciocchezze

“Confermo che il genere delle avventure è morto.”

Così perentoriamente affermava nel 2004, uno Stefano Silvestri certamente non in pienissima forma, facendo seguito sul newsgroup it.comp.giochi.avventure.grafiche ad asserzioni di pari tenore pubblicate su The Game Machine nel corso di un reportage di Fahrenheit, avventura (grafica) di David Cage, fondatore della Quantic Dream.

Per fortuna si sbagliava, e di grosso.

Lo vogliamo ricordare così, mentre alla guida del suo veliero, mira con sguardo lucido le distese sconfinate dell’oceano che lo attendono.

Di poppa.